Le app per scambiarsi denaro in tempo reale tra privati sono il nuovo (e silenzioso) fenomeno dei digital payments. Piacciono perché sono strumenti rapidi, facili da usare e «social» (perché sono utilizzati dai propri amici).
Basta aprire l’app, selezionare il destinatario del denaro dalla rubrica personale (in stile WhatsApp), inserire l’importo, un eventuale messaggio e con un click il denaro viene immediatamente trasferito. Sono definiti pagamenti «peer-to-peer» e permettono, ad esempio, di dividere il conto al ristorante tra amici, raccogliere le quote per fare un regalo o dividere i costi di un viaggio, il tutto senza passare dai bonifici (che mantengono comunque un ruolo fondamentale per le transazioni di importo più elevato), ma con operazioni cosiddette di “Instant Payment” che permettono che gli importi (di valore limitato) siano recapitati in tempo reale e utilizzabili immediatamente dal destinatario.
Semplicità, user experience familiare, bisogni intercettati e servizi gratuiti (le app sono gratis) sono le chiavi su cui si basa il successo di questi servizi di pagamento digitale, che stanno avvicinando progressivamente un pubblico ampio e trasversale (guidano i Millennials, ovviamente, ma anche le altre categorie di età si stanno via via abituando) alle formule smart di gestione del denaro attraverso lo smartphone.
Lo scenario italiano è abbastanza affollato e agguerrito. Jiffy di Sia, circuito cui hanno aderito circa 140 banche italiane, conta già 4 milioni di utenti P2P italiani. Satispay, start-up piemontese, sta registrando una crescita interessante. Abbiamo poi i colossi hi-tech che - fiutato l'affare - già da qualche mese hanno abilitato sui propri canali la possibilità di trasferimento tra utenti di piccole somme di denaro: parliamo di Facebook e Whatsapp, naturalmente, ma anche di Apple Pay e Google Pay, oltre che del servizio PayPal Me di PayPal, la quale ha lanciato a inizio agosto la possibilità di scambiarsi denaro anche attraverso Skype.
E’ certo che lo scenario banking si deve confrontare con questo fenomeno, che secondo Deloitte è destinata a diventare la «nuova normalità».